Microplastiche: ripulire gli oceani funziona davvero?

21 Ottobre 2020

#protezionemarina

C’è un’isola che continua a crescere, ma non è una buona notizia.​

È il Garbage Patch State, uno stato inventato dall’artista Maria Cristina Finucci per sensibilizzare il mondo sull’esistenza di ammassi di plastica e rifiuti così grandi da poter essere considerati vere e proprie nazioni.​

Eppure la plastica che vediamo in mare è solo il 3%: la maggior parte è invisibile, o quasi. Il Mar Mediterraneo da solo contiene il 7% delle microplastiche e, se continuiamo così, entro il 2050 negli oceani ci saranno più plastiche che pesci.​

Allora cosa fare? Pulire o cambiare le nostre abitudini?​

Entrambi sembrano percorsi difficili, ma sono fondamentali per invertire la rotta.​

Una possibile soluzione arriva da The Ocean Cleanup, l’azienda non-profit fondata Boyan Slat quando aveva solo 24 anni.​

Il giovane olandese ha abbandonato i suoi studi in Ingegneria Aerospaziale per dedicarsi al progetto, raccogliendo oltre 30 milioni di euro per costruire, in 5 anni, una macchina per pulire l’oceano. Per ora l’idea di Slat ha ottenuto tanto supporto ma anche tante critiche. Infatti, la comunità scientifica sta ancora valutando i potenziali rischi della tecnologia per la fauna marina.​

Intanto la sperimentazione va avanti, con l’obiettivo di ripulire la Great Pacific Garbage Patch: la più grande isola di immondizia galleggiante.​

Ma due domande restano aperte: quanta plastica riuscirà a catturare? E che impatto avrà sull’ecosistema marino? 

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